Con questo ultimo pezzo si chiude la serie di articoli dedicata all’importanza della foresta amazzonica e alla conoscenza delle comunità indigene che da sempre hanno contribuito alla sua conservazione. Change For Planet insieme all’associazione Cospe sono partite sabato 7 maggio per Roma in direzione Museo Maxxi per visitare la mostra ‘Amazônia’ di Sebastião Salgado. Il fotografo brasiliano Salgado, tra i più famosi al mondo, dopo una carriera come economista negli anni 70 decise di dedicarsi alla professione del fotografo a tempo pieno e da allora con costanza ha sempre prodotto reportage su cambiamenti ambientali, economici e politici. L’obiettivo della giornata è stato quello di accendere ancora una volta i riflettori sull’importanza dell’Amazzonia non solo in quanto luogo che ospita una grande varietà di flora e fauna ma anche come luogo da rispettare in tutta la sua bellezza. La mostra di Sebastião Salgado ‘Amazônia’ inaugurata ad ottobre 2021, avrebbe dovuto concludersi il 25 aprile, ma è stata prorogata fino ad agosto 2022 per l’apprezzamento ricevuto dal pubblico.
Lo stile ormai noto di Salgado che utilizza il bianco e nero nelle sue fotografie, è utilizzato anche in questo caso con forti contrasti che ricreano dei contorni definiti in cui la natura, ma soprattutto le comunità indigene che vi abitano ne diventano protagoniste. Rispetto però ad altre mostre del celebre fotografo, in questa non troviamo opere che denunciano la deforestazione, il disboscamento o l’estrazione di risorse dal terreno. Al contrario, l’immagine generale che ne risulta è di totale tranquillità e pace: un luogo incontaminato, lontano dalla società e dal mondo che siamo abituati a vedere, dove natura e uomo vivono in stretto contatto e sviluppano una relazione positiva e reciprocamente rispettosa.
Il visitatore della mostra è invitato ad entrare nell’oscurità della sala dove i soli punti di luce visibili provengono dalle opere illuminate che rappresentano la foresta nella sua interezza. Scorci, foto aeree e ‘fiumi volanti’, ovvero nubi di acqua che si stanziano nell’aria sopra la foresta e sono prodotte dagli alberi, che sono accompagnate dai rumori e dai suoni della foresta tropicale riprodotti durante la visita. Lungo il percorso si incontrano anche degli spazi circolari che ricordano le abitazioni dei popoli indigeni e in cui è possibile immergersi completamente per conoscerne la storia non solo attraverso le opere ma anche con video proiezioni dove alcuni membri parlano della loro comunità.
Dal 1500 ad oggi il numero degli indigeni in America Latina si è drasticamente ridotto passando da una cifra di 5 milioni all’attuale quantità di 370.000 persone. Esistono almeno 188 gruppi indigeni che parlano 150 lingue diverse ma almeno altri 144 gruppi restano ancora non contattati. In una durata di circa sette anni Salgado è riuscito a reperire informazioni e a scattare foto in dodici comunità indigene del Brasile: Kamayurá, Kuikuro, Waurá, Awá Guajá, Zo’é, Ashaninka, Yawanawá, Korubo, Marubo, Yanomami, Macuxi e Suruwaha. Quello che emerge è una varietà straordinaria di usanze, tradizioni e modi di vestirsi, tutte in stretto contatto con la natura circostante. Per citarne uno in particolare, il popolo Yanomami è il più grande gruppo etnico indigeno al mondo con rari contatti. La sua popolazione conta circa 40.000 individui, 28.000 dei quali sono stanziati in Brasile e i restanti in Venezuela.
La mostra di Salgado ha aperto un varco per dare spazio ad altre narrazioni e prospettive. Nel pomeriggio, infatti, all’interno del museo si sono tenute due conferenze per discutere dell’importanza della foresta, con testimonianze autentiche sul ruolo attivo che le comunità indigene svolgono nei vari Paesi dell’America Latina. L’ospite d’onore è stato il leader del popolo Karipuna del Brasile, Adriano, che dall’età di 14 anni lotta per salvaguardare le terre del suo popolo principalmente accusando il governo brasiliano del presidente Bolsonaro e facendo conoscere la sua storia a quante più persone possibili, dentro e fuori il suo Paese.
Adriano Karipuna è stato successivamente invitato nella città di Firenze dove ha incontrato giovanə attivistə di Fridays For Future, Change For Planet e ASAT, per rispondere alle loro domande e curiosità. Il popolo Karipuna della Rondonia brasiliana contava migliaia di persone più di trent’anni fa, ma a causa delle malattie portate da esploratori, missionari e emissari delle agenzie federali, il loro numero si è drasticamente ridotto fino ad arrivare attualmente a contare circa una sessantina di membri. Purtroppo questo evento non è isolato, al contrario più volte nel corso dei secoli il contatto tra membri esterni ed interni delle comunità indigene ha generato morte e sofferenza, mettendo a rischio l’esistenza delle stesse. Oltretutto, la recente pandemia che ha colpito duramente il mondo intero e anche il Brasile, è arrivata fin nelle terre indigene e ha provocato ulteriori morti.
La lotta di Adriano Karipuna, giovane di 32 anni, si basa principalmente sulla contestazione di due leggi reputate ingiuste: il progetto di legge 191/2020 e il PL 490/2007. La legge 191 minaccia un totale di 1,17 milioni di km² di territori indigeni con l’obiettivo di aprire queste aree della foresta a progetti minerari ed idroelettrici. Di recente il presidente brasiliano Bolsonaro ha richiesto l’approvazione della legge con più urgenza a causa della guerra in Ucraina, perché a suo dire ci sarebbe il rischio di una carenza di fertilizzanti russi, in particolare di potassio, che potrebbe compromettere la coltivazione di beni primari per il paese, come soia, canna da zucchero e caffè, e che deve essere quindi compensata. Mentre la legge 490 risale al 2007 e tratta la normativa per la demarcazione delle terre indigene. Oggi viene richiesto ai popoli indigeni di dimostrare di aver occupato le terre prima del 5 ottobre 1988, anno della promulgazione della Costituzione, per poter godere dei diritti di proprietà. Purtroppo non è altrettanto semplice per alcuni popoli dimostrare legalmente i loro diritti, che come ci ricorda l’esperienza di Adriano Karipuna, molto spesso non sono ascoltati né tantomeno facilitati.
Come spiega Adriano Karipuna ‘La nostra non è una lotta di oggi ma una lotta di sempre. E continueremo a lottare perché la foresta è di tutti’. E il mezzo che il giovane Adriano conosce meglio è il racconto: attraverso storie e testimonianze, si batte affinché non si dimentichino tutte le persone morte per proteggere l’ambiente non solo per le loro comunità ma per tuttə noi.