Nel precedente articolo abbiamo rivolto l’attenzione alla lotta indigena in America Latina contro lo sfruttamento dei territori in Amazzonia e la violenza esercitata dallo Stato sulle persone che li tutelano. In questo articolo approfondiamo ulteriormente l’argomento partendo dal caso specifico dell’Ecuador, in cui recentemente è stata approvata una sentenza che, per la prima volta nel Paese, sancisce l’obbligo di consultarsi con i popoli indigeni per valutare i possibili rischi e le conseguenze dell’estrattivismo in un determinato territorio.
Il 27 gennaio 2022 la Corte Costituzionale dell’Ecuador ha riesaminato una vecchia sentenza del 2018 che vedeva coinvolta principalmente la comunità indigena A’i Cofán di Sinangoe. In quell’anno il presidente della comunità indigena, Victor Quenamá, aveva intrapreso un’azione formale contro lo Stato per aver concesso 52 siti di esplorazione ed estrazione mineraria nelle vicinanze dei fiumi Aguarico, Chingual e Cofanes, che attraversano il Parco Nazionale Cayambe-Coca dove vivono gli A’i Cofán. Il risultato della sentenza aveva portato alla chiusura dei 52 siti coinvolti nell’estrazione e aveva sancito pubblicamente la vulnerabilità del territorio indigeno e delle sue risorse.
Dopo ben quattro anni, la revisione della sentenza è stata accolta nel 2022 come un grande traguardo non solo dalla sopracitata comunità, ma anche dagli altri popoli indigeni che vivono in Ecuador. Nel dettaglio lo Stato ha ribadito il diritto all’autodeterminazione dei popoli indigeni (già presente nell’articolo 57 della Costituzione), l’importanza della relazione fra questi popoli e la natura per la riproduzione della loro identità culturale e ultimo, ma non meno importante, l’obbligo dello Stato di rivolgersi alle comunità prima di promuovere piani o programmi estrattivi attraverso la cosiddetta FPIC (Free, prior and informed consent ovvero ‘consultazione libera, preventiva e informata’). Quest’ultimo punto della sentenza afferma legalmente e per la prima volta in Ecuador l’obbligo di consultarsi con i popoli indigeni per qualunque decisione in territorio indigeno, come detto sopra.
Se da un lato la sentenza segna un grande traguardo per gli A’i Cofán di Sinangoe, altri popoli indigeni non possono considerarsi altrettanto fortunati. Secondo Amazon Frontlines, un’organizzazione no profit che si occupa dei diritti delle comunità indigene che vivono nell’Amazzonia ecuadoriana, continua a sussistere da 50 anni una lenta contaminazione di alcuni fiumi, tra cui il sopracitato fiume Coca, a causa di fuoriuscite di petrolio dai macchinari delle industrie minerarie e petrolifere.
Come spiega l’ong, “circa 27.000 persone appartenenti alla comunità Kichwa dipendono dal fiume Coca per il loro sostentamento quotidiano“. Molti altri popoli indigeni, oltre ai Kichwa, vivono nella foresta amazzonica e utilizzano le risorse che trovano in natura per nutrirsi e sopravvivere. Infatti, anche se solo il 7% della popolazione è dichiaratamente indigeno, il 70% degli indigeni vive nelle aree amazzoniche, dove quotidianamente è costretto a far fronte ai numerosi problemi causati dal cambiamento climatico, ma soprattutto dall’estrazione del petrolio. Già nell’aprile del 2020 si era verificata la più grande fuoriuscita di petrolio degli ultimi due anni nel fiume Coca, della quantità di circa 15.900 barili di petrolio. Parallelamente alla pronuncia della sopracitata sentenza, a gennaio 2022 la rottura dell’oleodotto che trasporta greggio pesante OCP (Oleoducto de Crudo Pesado) avvenuta nei pressi del Parco Nazionale Cayambe-Coca ha causato un’altra grande fuoriuscita di 6000 barili di petrolio.
Il petrolio disperso nei fiumi e nei mari causa tutta una serie di gravi conseguenze, tra cui la perdita di biodiversità della fauna e della flora di interi ecosistemi. Senza contare che una volta versato nell’acqua, il petrolio può evaporare oppure può essere degradato e disperso da specifici microrganismi e, nei casi peggiori, può rimanere anche per decenni in una determinata area assorbito dalla flora e dalla fauna che la abitano.
Sempre la stessa ong Amazon Frontlines sostiene che “dal 2005 al 2015 in Ecuador sono state registrate 1169 fuoriuscite di petrolio, di cui ben l’81% è avvenuto nella regione amazzonica” come si osserva nella Figura 1. Il problema delle fuoriuscite di petrolio riguarda tutta l’Amazzonia ecuadoriana, che ricopre un’area di 120.000 ettari (pari all’estensione di Roma). Nonostante il grande passo in avanti di questa sentenza, le numerose fuoriuscite di petrolio che regolarmente colpiscono questi luoghi e le comunità che vi abitano non lasciano presagire un cambiamento di rotta repentino. Al contrario, mancano aiuti concreti dal governo per preservare la foresta indigena e continuano a verificarsi tragedie quotidiane che colpiscono duramente la vita di queste persone.
Per maggiori info, questo è il sito Facebook di Amazon Frontlines: https://www.facebook.com/amazonfrontlines/.
Foto credits: Amazon Frontlines