Il sistema alimentare attuale ed il consumo eccessivo di prodotti di origine animale contribuiscono fortemente alla crisi climatica. Per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e dell’Agenda 2030 sarà necessario adottare cambiamenti a livello individuale e societario, a partire dalle nostre scelte alimentari fino all’utilizzo di tecniche produttive più efficienti e sostenibili.
Il nostro viaggio alla scoperta del rapporto tra il cibo e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile si è inizialmente focalizzato sulla loro dimensione sociale ed economica, portandoci ad esplorare il rapporto fra la povertà e l’agricoltura, le disparità di genere nella popolazione rurale e l’importanza dell’alimentazione per la salute. A partire da oggi e per le prossime settimane, ci concentreremo sul terzo pilastro della sostenibilità: l’ambiente.
La produzione ed il consumo alimentare sono tra le attività umane con il più stretto rapporto con la natura. La possibilità di coltivare, allevare e pescare e, conseguentemente, di garantire cibo sano e sufficiente per tutti dipende dallo stato degli ecosistemi naturali su cui queste attività vengono condotte: dal suolo agli oceani, dalle foreste ai pascoli. Allo stesso tempo, questo legame così stretto fra il sistema alimentare e l’ambiente implica una considerazione fondamentale: il modo in cui produciamo e consumiamo il nostro cibo è determinante per la sostenibilità ambientale. È pertanto basilare capire quale sia l’impatto che le attuali pratiche produttive e abitudini alimentari hanno sulla natura, e quali cambiamenti siano necessari per garantire la sua preservazione, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030.
La nostra analisi parte da una delle maggiori sfide per la salute del nostro Pianeta: il cambiamento climatico.
Il sistema alimentare globale è un’importante fonte di emissioni di gas climalteranti. Nel 2019 il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico, il principale organismo scientifico internazionale dedito allo studio di questo fenomeno, ha pubblicato un Rapporto Speciale volto ad approfondire il rapporto tra il clima e il territorio (Special Report on Climate and Land). Secondo le stime dell’IPCC, tra il 21% e il 37% delle emissioni antropogeniche di gas serra sono riconducibili al sistema alimentare. Tra di esse vi sono le emissioni generate:
In particolare, come sottolinea il rapporto dell’IPCC, il sistema alimentare è responsabile per circa il 75% delle emissioni globali di protossido d’azoto (N2O) e di circa il 50% di quelle di metano (CH4). Questo aspetto è particolarmente rilevante perché questi due gas hanno un potere climalterante rispettivamente 298 e 25 volte superiore a quello dell’anidride carbonica. Ridurne le emissioni è pertanto cruciale al fine di centrare gli obiettivi climatici delineati dall’Accordo di Parigi e dal tredicesimo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030.
Oltre a richiedere cospicue risorse (come acqua e suolo) per la loro produzione, gli alimenti di origine animale, in particolare le carni bovine e i latticini, sono tra i principali responsabili dell’impatto climatico del settore agro-alimentare. La loro produzione e consumo sono legate, in maniera diretta o indiretta, a tutti e tre i maggiori gas climalteranti. Primo fra tutti il metano: si tratta di un naturale prodotto di scarto del processo digestivo degli animali ruminanti (la cosiddetta fermentazione enterica), oltre ad essere generato dalle attività di gestione del letame negli allevamenti. L’emissione di protossido d’azoto in ambito agricolo è legata all’impiego eccessivo di fertilizzanti; attualmente più di 35% delle calorie prodotte dall’agricoltura è destinato a nutrire il bestiame sotto forma di foraggio, invece che essere consumato direttamente dall’uomo. Infine, gli allevamenti di bovini sono tra i principali motori della deforestazione. Le foreste sono uno dei più importanti depositi di carbonio del nostro Pianeta. Quando vengono distrutte per far posto ai pascoli e alle coltivazioni, rilasciano nell’aria enormi quantità di anidride carbonica nell’atmosfera e la loro capacità di assorbimento della stessa viene meno.
Come si può dunque ridurre l’impronta climatica del settore dell’allevamento e, conseguentemente, del sistema alimentare? Il primo passo è sicuramente quello di modificare le nostre abitudini alimentari. L’ultimo Rapporto sullo Stato della Sicurezza Alimentare e della Nutrizione pubblicato dalla FAO analizza i costi nascosti, in termini di salute e degrado ambientale, dell’attuale regime alimentare, in cui circa il 75% delle emissioni e legato ai prodotti di origine animale. Lo studio paragona tali costi a quelli derivanti da quattro modelli alimentari alternativi, ovvero quello flexitariano (che prevede un consumo moderato di tutti i prodotti di origine animale); pescetariano (che prevede un consumo moderato di pesce, ma non di altri prodotti di originale animale); vegetariano e vegano. Il Rapporto conclude che l’adozione di uno qualsiasi fra i regimi alimentari alternativi comporterebbe una riduzione compresa fra il 41 e il 74% delle emissioni di gas serra associate al sistema alimentare, oltre ad avere un impatto positivo sulla salute.
È però importante considerare anche le limitazioni di tale soluzione. Innanzitutto, come sottolineato dalla stessa FAO, aumentare le proprie emissioni potrebbe essere inevitabile per le milioni di persone nel mondo che ancora oggi sono afflitte da gravi carenze nutrizionali. Inoltre, come evidenziato dal Report dell’IPCC citato precedentemente, potrebbe essere difficile realizzare appieno i benefici climatici di un regime alimentare alternativo, visto il legame profondo che questo ha con i valori sociali, culturali e tradizionali e con i fattori economici. Infine, è necessario riconoscere che l’allevamento di bestiamo rappresenta una fonte di sostentamento fondamentale per molte famiglie e che esso può contribuire positivamente alla produzione agricola.
Appare evidente che la modifica delle nostre abitudini alimentari debba essere parte di un più ampio impegno verso l’adozione di pratiche e tecnologie che possano rafforzare l’efficienza e la sostenibilità del sistema alimentare. Oltre ai benefici ambientali, queste potrebbero avere anche un impatto positivo in termini economici. A tal proposito, la società di consulenza McKinsey ha recentemente condotto un’analisi delle 25 pratiche e tecnologie ritenute più promettenti al fine di ridurre le emissioni generate dal settore agricolo. Queste comprendono, ad esempio, l’utilizzo di macchinari e veicoli a zero emissioni, un’applicazione più precisa ed efficace dei fertilizzanti, e una migliore composizione del foraggio per il bestiame. Lo studio conclude che queste pratiche hanno il potenziale di mitigare il 20% delle emissioni dell’intero settore e che ben 15 su 25 di esse non comporterebbero costi aggiuntivi o porterebbero addirittura a dei risparmi per i produttori.
In conclusione, l’impatto imponente del sistema alimentare in termini di emissioni di gas serra e la sua inevitabile dipendenza dalle risorse naturali pone questo settore al centro della lotta alla crisi climatica. L’impegno non può che partire dai noi stessi, dalle nostre scelte alimentari quotidiane, in particolare da un consumo più responsabile dei prodotti di originale animale. Il cambiamento necessario a raggiungere gli Obiettivi dell’Agenda 2030 è però molto più ampio e deve coinvolgere tutti gli attori della filiera nell’adozione di politiche, pratiche e tecnologie più sostenibili. Insieme, è possibile garantire un’alimentazione adeguata a tutti, preservando al contempo la salute del nostro Pianeta.
Fonti
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