“Il cambiamento climatico è un problema attuale e riguarda tutti noi. Nessuna nazione o società è immune”, dice Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, nel suo ultimo discorso all’Abu Dhabi Climate Meeting del 2019. “Le persone più povere e con meno mezzi di sostentamento sono i primi a soffrire, e sono quelli colpiti in modo peggiore”.
L’affermazione di Guterres ci pone davanti ad un problema che non possiamo più ignorare, quello della giustizia climatica. Come abbiamo visto nell’articolo precedente, gli effetti della crisi climatica sono molteplici e colpiscono la specie umana in modo più o meno diretto. Ondate di calore, malattie, allergie, e malnutrizione sono solo alcune delle conseguenze che la crisi climatica ha sull’uomo.
L’impatto del cambiamento climatico sull’uomo non è distribuito in modo equo. Le persone maggiormente colpite sono quelle che hanno una minore responsabilità sulle cause della crisi climatica e, in particolare, quelle popolazioni che vivono in paesi con una bassa produzione pro capite di emissioni.
Secondo degli studi del National Association for the Advancement of Colored People (NAACP) e dell’ American Lung Association, le persone povere e le minoranze etniche sono maggiormente esposte all’inquinamento atmosferico, poiché abitano nelle zone periferiche dove si concentra la produzione industriale. Le persone più povere non sarebbero nemmeno in grado di provvedere economicamente a cure mediche troppo costose o alle spese di adattamento delle abitazioni a seguito di disastri climatici come inondazioni e tempeste. Allo stesso modo, gli anziani e persone con malattie croniche potrebbero avere maggiore difficoltà ad affrontare le ondate di calore o ad evacuare in sicurezza da incendi e tempeste. Anche le popolazioni indigene, nonostante siano minimamente responsabili della crisi climatica, sono tra le principali vittime. Un esempio è la tribù Biloxi-Chitimacha-Choctaw in Lousiana: in seguito dell’innalzamento del livello del mare, ha perso quasi completamente i terreni da cui ricavava il proprio sostentamento ed è stata costretta ad emigrare, in cerca di un luogo migliore per vivere.
L’ingiustizia climatica si manifesta tramite ingiustizie sociali e razziali, e porta con sé una serie di quesiti e di problematiche delicate e complesse.
Uno dei quesiti riguarda la determinazione del livello di responsabilità delle generazioni presenti nei confronti di quelle future. Alcuni gas ad effetto serra, come l’anidride carbonica, persistono nell’atmosfera per migliaia di anni e le nostre emissioni saranno un problema per le generazioni future. Secondo alcuni scienziati e politici è giusto lasciare alle future generazioni il compito di doversi adattare o di mitigare il cambiamento climatico, nonostante non ne siano la causa. Mentre altre persone, come Humberto Llavador, John E. Roemer, e Joaquim Silvestre, non sono d’accordo e parlano di “sostenibilità della crescita”. Cioè di individuare un percorso per l’attività economica che massimizzi il benessere delle generazioni presenti ed al tempo stesso, garantisca una percentuale minima di crescita del benessere per tutte le future generazioni.
Altro punto importante riguarda come si dovrebbe distribuire tra i paesi del mondo il budget dei gas ad effetto serra. Il carbon budget è la quantità di anidride carbonica stimata dagli scienziati, che possiamo ancora immettere nell’atmosfera prima di superare il limite del surriscaldamento globale posto a +1.5°C. Di conseguenza, ogni nazione dovrebbe avere un limite fissato nella produzione di gas ad effetto serra. La problematica sociale si concentra su quale sarebbe il modo giusto di distribuire le emissioni tra i vari paesi mondiali. Uno degli approcci suggerisce di suddividere le emissioni in modo da soddisfare i bisogni basilari delle persone e di tralasciare le così dette “emissioni di lusso”. Questo comporterebbe una distribuzione non egualitaria tra i paesi che invece, andrebbe seguita secondo altri.
Da queste riflessioni nasce spontanea la domanda dell’azione climatica: chi dovrebbe assumersi il compito ed i costi di agire per il cambiamento climatico e quali sono le responsabilità annesse? Esistono varie risposte a questa domanda. Una delle più diffuse identifica i governi come i principali attori della crisi climatica e quindi coloro che dovrebbero assumersi tutte le responsabilità annesse, escludendo così la responsabilità di altri attori come le industrie. Un’ulteriore ipotesi segue il principio del “paga il beneficiario”, secondo il quale a pagare dovrebbero essere quei paesi che hanno già usufruito in modo incontrollato delle risorse naturali per svilupparsi, causando la crisi climatica. Un approccio simile è seguito dal “principio dell’inquinatore pagante”, per il quale i costi dovrebbero ricadere in modo proporzionale alla quantità di inquinamento prodotto, seguendo così un principio di responsabilità. Infine, viene suggerito il principio dell’”abilità di pagare”, nel quale le spese sono suddivise in base alla capacità dei soggetti di affrontare le sfide.
Al momento non esiste una soluzione chiara al problema della giustizia climatica. Per poter migliorare questa situazione, dobbiamo accelerare i tempi ed identificare una linea di azione.
FONTI
https://unfccc.int/news/guterres-climate-action-is-a-battle-for-our-lives
https://plato.stanford.edu/entries/justice-climate/
https://www.un.org/sustainabledevelopment/blog/2019/05/climate-justice/
https://yaleclimateconnections.org/2020/07/what-is-climate-justice/